Alessandro Bianchi è impegnato con molti dei suoi ex compagni per aiutare chi ha bisogno
Alessandro Bianchi è impegnato con molti dei suoi ex compagni per aiutare chi ha bisogno
«Grazie alla mia Inter sono ancora in campo per la solidarietà»
Alessandro Bianchi è stato l'ala titolare nel 1988-89, anno dello "scudetto dei record", aggiudicandoselo con un mese d’anticipo. In nerazzurro ha vinto anche una Supercoppa italiana (1989) e due Coppe Uefa (1990-91 e 1993-94), risultando decisivo per la conquista della prima: suo il gol qualificazione nella gara di ritorno dei sedicesimi con l'Aston Villa. Specialmente nell'Inter dei record è stato un punto di forza, giocando insieme a tanti campioni come Matthaus, Diaz, Brehme, Bergomi, Riccardo Ferri e Aldo Serena. È stato anche convocato in Nazionale sotto la guida di Arrigo Sacchi, prima che un grave infortunio muscolare, nella stagione 1992-93, segnasse irrimediabilmente la sua carriera.
Alessandro, da quando hai finito di giocare non si è mai tirato indietro per stare vicino a chi è impegnato per aiutare gli altri: che cosa significa per te solidarietà?
Io ho smesso nel 2001, ma da allora sono sempre stato a disposizione. Solidarietà per me non significa solo partecipare a manifestazione di beneficienza, significa soprattutto stare vicino a chi a bisogno, parlarci, ascoltare e dare un sostegno morale.
C’è stato un episodio particolare della tua vita che ha fatto nascere questa voglia di impegnarsi per gli altri?
Non parlerei di un episodio particolare. Quando sono arrivato all’Inter c’era l’associazione “Bindun” con Beppe Bergomi, Beppe Baresi, Riccardo Ferri ed Enrico Cucchi, ancora oggi impegnata nel sociale. L’idea mi è piaciuta e da lì è partito tutto. Si fanno partite di beneficienza, ma anche spettacoli, e il ricavato è utilizzato per realizzare dei progetti per chi ha bisogno. Da quel momento il mio impegno non è mai venuto meno.
Hai giocato nell’Inter di Trapattoni nella quale c’era anche Astutillo Malgioglio: un vero e proprio campione di solidarietà. Che ricordo hai di lui?
Io ero un ragazzino e lui è stato tra quelli che mi hanno aiutato a inserirmi. Venivo da un ambiente provinciale come Cesena e l’arrivo all’Inter mi preoccupava. Malgioglio, come gli altri della vecchia guardia, mi hanno subito messo a mio agio e fatto entrare nel gruppo.
Con la Nazionale Vip Sport e con i campioni dell’Inter siete spesso in giro per delle manifestazioni.
Quando si va a fare delle partite di beneficienza e incontri tante persone è il contatto con chi è in difficoltà che ti rimane dentro, ti fa stare bene e fa venire la voglia di continuare a farlo.
Con #UnGolperRipartire con l’Inter campus nei paesi colpiti dal terremoto del 2016 con Inter Forever, la squadra formata dalle leggende nerazzurre, rappresenta un appuntamento importante?
Mi chiamarono Toldo e gli altri per illustrarmi il progetto di un campo polivalente a Tolentino. È stato realizzato e ci siamo ritornati ogni anno, fino a luglio dell’anno scorso, per giocare e raccogliere fondi per quelle zone.
Voi ex calciatori dell’Inter siete rimasti uniti, vi siete ritrovati anche in momenti tristi come la morte di Alberto Rivolta. Questo significa che il calcio non è solo soldi e successo.
Abbiamo vissuto lo sport come divertimento, era un gruppo unito con tanti amici. È ovvio che siamo stati dei ragazzi fortunati e ben pagati. I ricordi che rimangono non sono i soldi guadagnati, forse neanche le partite, ma proprio le giornate trascorse insieme con gli altri del gruppo. Anche in questo periodo di emergenza ci siamo sentiti. Ho chiamato Bergomi, che ha contratto il Covid 19, per sincerarmi delle sue condizioni, ho ricevuto chiamate da Serena, da Klinsmann, da Nicolino Berti. E la cosa mi ha fatto piacere e dimostra che quello era un bel gruppo unito.
Parlando ancora di calcio mi dici qual è l’allenatore più importante per la tua carriera.
Non ho dubbi: Giovanni Trapattoni. Ho fatto tre anni con lui all’Inter, appena arrivato abbiamo vinto il campionato e il terzo anno la Coppa Uefa. È sempre stato un allenatore che nei momenti di difficoltà mi è stato vicino e mi ha aiutato molto nella crescita sia come calciatore sia come uomo.
Gli italiani e la solidarietà: un binomio che, secondo la tua esperienza, funziona?
Siamo un popolo generoso e lo dimostriamo in ogni occasione. Quando c’è bisogno non ci tiriamo mai indietro. Anche la mia esperienza di calciatore mi ha insegnato che si migliora quando le cose non vanno tanto bene. Lo abbiamo visto anche in questa emergenza del coronavirus: tante donazioni a tutti i livelli per dare una mano a chi è in difficoltà e a chi era impegnato. Speriamo che finita questa emergenza l’atteggiamento non cambi.
Tu sei di Cervia, uno dei posti in cui il turismo è un punto di forza. Come state vivendo questo momento particolare?
C’è tanta voglia di ripartire, un atteggiamento positivo e ottimista per il futuro. Ci sono dei punti interrogativi, ma le spiagge le stanno già preparando, adeguandosi alle indicazioni sanitarie. Ce la faremo.
GIOVANNI ARANCIOFEBO: ORGOGLIOSO DI FARE PARTE DELLA SCUDERIA ASD AIDA
Ancora novità in casa Aida onlus. Da oggi entra a tutti gli effetti nel circuito del motociclismo su pista. L'amico Giovanni Aranciofebo cambia scuderia e approda all' ASD AIDA. Atleta paralimpico amputato al braccio destro e campione di motociclismo su pista, a breve con i colori della ASD Aida scenderà nei circuiti nelle gare ufficiali. Orgoglioso di far parte di questa famiglia dichiara Giovanni Aranciofebo alla quale sono legato da qualche anno. Siciliano della provincia di Messina, ha già preso parte a diverse iniziative benefiche negli ultimi anni con la onlus di Laureana di Borrello. È sceso in campo con la nazionale Aida Onlus e con la nazionale vip sport nella sua Sicilia per beneficenza. L' aida Onlus è felice e onorata della scelta fatta da Giovanni, commenta il presidente Reno Insardà che utilizzando i nostri colori in tutte le piste d'Italia farà capire l'importanza del motto della nostra associazione che recita "diversamente abili non significa rinunciare alla vita". Aranciofebo è l’unico in Sicilia a gareggiare assieme ai piloti normodotati. Dopo l'incidente del 31 agosto di dieci anni fa, che lo ha coinvolto a causa del quale ha perso il braccio destro si è subito rialzato e si è rimesso in “pista” con evidenti risultati di reinserimento nella quotidianità ed integrazione sociale, impegnandosi in prima persona: Un esempio da imitare.
Antonella Naso ha fondato l’Associazione “Teodoro Naso-Tango November” con la quale organizza incontri e convegni con campioni paralimpici
Antonella Naso ha fondato l’Associazione “Teodoro Naso-Tango November” con la quale organizza incontri e convegni con campioni paralimpici
«La morte di mio fratello,
la tragedia che mi ha cambiato la vita»
Un evento tragico cambia la vita. Alcuni si chiudono in sé stessi e, spesso, cadono in depressione. Altri, invece, reagiscono e mettono al servizio del prossimo la propria esperienza e la loro determinazione per evitare che possano ripetersi avvenimenti tragici come quelli che li hanno interessati. È il caso di Naso, Antonellasorella di Teodoro, un giovane vittima di un terribile incidente che lo ha portato via ai suoi affetti a 30 anni. Per Antonella solidarietà significa «cambiare prospettiva con la quale vedere la vita, incontrare l’altro per arricchirsi reciprocamente, senza perseguire interessi egoistici o utilitaristici, vuol dire sentirsi felici nell’aver fatto stare bene chi ti sta vicino o anche lontano».
E così per lei l’impegno nel sociale prima sporadico «È divenuto il mio nuovo orizzonte da quando, con la mia famiglia, abbiamo fondato l’associazione “Teodoro Naso-Tango November”, in occasione del terribile incidente di cui è stato vittima innocente mio fratello Teodoro, deceduto all’età di 30 anni. Da allora il suo diritto alla vita è stato negato, ma anche la mia esistenza e quella dei miei familiari è sprofondata nel dolore e nella disperazione. In nome di Teodoro ci siamo impegnati a lottare per sensibilizzare e responsabilizzare in merito alla sicurezza stradale per scuotere le coscienze e migliorare la strada sulla quale rischia di interrompersi la vita di chi la percorre».
Con l’associazione “Teodoro Naso-Tango November” Antonella ha organizzato e partecipato a tanti incontri e convegni con campioni paralimpici «che hanno lasciato a tutti noi insegnamenti di vita, o anche in auditorium con centinaia di giovani che hanno ascoltato la storia di Teodoro e la nostra in assoluto silenzio, colpiti dalla durezza della realtà, ma anche dal coraggio di continuare a far sentire la nostra voce per tenere in vita Teodoro e stimolare la riflessione e il cambiamento». Un episodio in particolare si porta dentro: «Non dimenticherò le lacrime di un ragazzo il quale, rimasto paralizzato a seguito di un incidente stradale, ci ha espresso la sua emozione nel ricevere, dall’associazione a nome di Teodoro, una sedia a rotelle con strumentazione meccanica per consentirgli di salire a casa sua, al primo piano».
È molto intensa anche la collaborazione con altre associazioni che si interessano di persone disabili come «l’AIDA onlus, la Di.Di. Diversamente Disabili, gli Amici del Lupo e altre associazioni per attività finalizzate alla solidarietà e alla sensibilizzazione rispetto alla sicurezza stradale, alla disabilità, alla mototerapia».
Per Antonella Naso donare è «un atto d’amore e mi fa sentire utile, capace di dare una mano a chi la tende in cerca di aiuto, spingere a riflettere per interiorizzare il cambiamento… o non ci sarà futuro. Dal momento che l’esistenza ci pone a confronto con numerose situazioni e di fronte a molte altre vite, le quali seguono strade che incrociano la nostra, o lo faranno, non ha senso chiudersi in un inutile egoismo sterile. L’alterità è parte di noi, perciò considero una ricchezza unica e originale la completezza che mi dona chi incontro». Antonella Naso vuole chiudere questa chiacchierata dando un consiglio a chi intende avvicinarsi al mondo del volontariato: «Inizierà un iter lungo per il quale si sentirà appagato nel rendere felici gli altri, anche in maniera silente e non visibile. Acquisirà un senso nuovo la vita e sarà vissuta pienamente…L’altro è parte di noi».
Max Pisu «La mia comicità sempre al servizio della solidarietà»
Max Pisu con i suoi personaggi è protagonista in tante manifestazioni
Ma oggi dice: «Noi artisti spesso ci siamo sostituiti alla Stato,
oggi anche noi abbiamo bisogno di una mano»
«La mia comicità sempre al servizio della solidarietà»
Max Pisu per il grande pubblico è Tarcisio, il ragazzo dell’oratorio, disincantato, un po’ ingenuo, ma che in modo semplice racconta i fatti della vita, con una lettura per nulla scontata. È anche un Francesco Guccini, rimasto agli anni della contestazione degli anni 70. Ma Max Pisu è tanto altro, soprattutto una persona sempre pronta e disponibile a coniugare la sua arte di far divertire con la solidarietà.
Facendo un rapido giro sulla rete salta subito agli occhi il fatto che Max Pisu è presente da anni in tantissime manifestazioni di solidarietà: dalla tua Legnano, a Monza, Varese, a Riccione, a Numana, a Roma e in tanti altri posti. Che cos’è per te la solidarietà?
Quando ho iniziato a fare questo lavoro mi sono detto: sono un fortunato, faccio qualcosa che mi piace e mi dà anche notorietà, perché non fare qualcosa per gli altri? Mi ha sempre fatto bene riuscire a dare una mano a chi ha bisogno. Nel tempo ho imparato che dando agli altri si riceve molto di più.
Quando ti è nata questa voglia di dare una mano a chi ha bisogno?
Ho iniziato con l’associazione Alomar (Associazione Lombarda Malattie Reumatiche), della quale fa parte mia sorella che ha una malattia della famiglia delle artriti reumatoidi. Mi hanno chiesto di partecipare delle manifestazioni che organizzavano e da lì è partito tutto: sono diventato il loro testimonial. Prima anche nel mio oratorio a Legnano organizzavamo spettacoli di beneficienza.
Raccolte fondi per la chirurgia toracica di Monza, per l’Unicef, per l’AIrett, per Alomar Onlus.
Dal 2006 sono testimonial anche di “Mission bambini”, che prima era “Aiutare i bambini”, una associazione che si occupa di aiutare i bambini dei Paesi poveri con progetti di adozione in vicinanza, fornendo un sostegno economico a quelle famiglie extracomunitarie che, lavorando in Italia, hanno difficoltà a mantenere i loro piccoli. Un progetto molto importante di “Mission bambini” è quello di assicurare interventi al cuore per i piccoli cardiopatici, sia operando direttamente nei loro Paesi con equipe italiane sia andando a formare medici, Grazie a questo progetto sono stati salvati più di mille bambini.
E poi ancora nel 2017 lo spettacolo messo in scena a favore della famiglia Gullotta, così tragicamente colpita dall'attentato sulle ramblas di Barcellona con la morte di Bruno.
Bruno Gullotta era un mio concittadino e mi ha fatto molto piacere che siamo riusciti a riempire un teatro di 2300 posti a Legnano. Ho coinvolto tanti amici che hanno risposto tutti positivamente: da Mario Biondi a Ron, da Ale e Franz a Enzo Iacchetti a Gioele Dix e a tanti altri. La cosa mi ha colpito molto positivamente.
In queste iniziative con te ci sono molti tuoi colleghi, quindi anche il mondo dello spettacolo è sensibile a certe tematiche.
Senz’altro. Ora siamo noi dello spettacolo ad avere bisogno di solidarietà. È arrivato il momento che qualcuno pensi anche a noi. Proprio gli artisti che si sono sostituiti allo Stato, spesso latitante. Oggi che avrebbero bisogno lo Stato è ancora più assente.
Quali di queste esperienze ti hanno colpito di più. C’è un episodio o una persona che ti porti nel cuore?
Quando ci sono i bambini sono particolarmente sensibile. L’AIrett, che si interessa dei bambini dagli occhi belli, è una delle realtà che seguo molto. Sono molto legato ad Alice e sua mamma Cristiana.
Uno dei personaggi che ti ha fatto conoscere al grande pubblico è Tarcisio che nella sua semplicità riesce a colpire l’animo delle persone, affrontando anche temi difficili. È un po’ anche il tuo modo di essere: arrivare alle persone e stimolare la loro solidarietà con il sorriso sulle labbra.
Esatto. Anche Tarcisio nel suo piccolo accompagna le persone nelle gite a Lourdes. Penso che Tarcisio sia una parte di me, perché sul palco ognuno porta una parte della propria vita.
Tarcisio e Guccini due personaggi agli antipodi oppure hanno dei punti di contatto?
Sono un po’fuori dal mondo tutti e due. Tarcisio è rimasto all’oratorio, al prete e alla mamma, mentre Guccini, ovviamente si tratta di una parodia, è ancora legato agli anni 70, alle proteste di una volta.
La pandemia di Covid 19 ha cambiato la vita di miliardi di persone, impaurite e in alcuni casi terrorizzate dal virus. Questa difficili esperienze, secondo te, ci ha migliorati?
Come tutti i grossi eventi negativi pensavo che unisse le persone. Invece, dopo una prima fase iniziale di solidarietà, ho notato che l’egoismo sta prevalendo, sia a livello politico che sociale. Assistiamo, a parti invertite, anche a una divisione tra Sud contro Nord. Speriamo che si sia trattato solo di un momento di incertezza. Io sono sardo e anche il governatore della Sardegna non si è distinto per delle posizioni condivisibili. I rapporti tra le persone penso che siano diventati più problematici, appena si è usciti dal lockdown c’è stata una reazione da “liberi tutti”, nella quale molti hanno pensato di poter fare qualsiasi cosa senza alcuna attenzione o precauzione. Spero che la gente possa riuscire ad apprezzare di più cose che sono mancate, come andare a teatro, uscire con gli amici, abbracciarsi e stare vicini.
In questi due mesi, stando in casa hai collaborato, insieme ad altri comici ed operatori dello spettacolo, a un’iniziativa benefica. Una trasmissione condotta da Vanessa Incontrada e Claudio Bisio, dove venivano riproposti gli sketch dei nostri personaggi”.
La cosa più importante è stata quella di rimanere in contatto con il nostro pubblico.
Il teatro potrà giocare un ruolo per ricominciare?
Assolutamente sì. Lo spettacolo e lo svago penso che siano fondamentali per la vita di una persona. Nel periodo di lockdown siamo stati più tristi, quasi trasformati in automi che svolgevano le azioni quotidiane in modo ripetitivo. Il teatro fa bene a tutti: a noi che saliamo su un palcoscenico e al pubblico che assiste agli spettacoli. Speriamo di ricominciare alla grande e che le regole siano chiare, ma allo stesso tempo semplici. Altrimenti organizzare uno spettacolo potrebbe trasformarsi in un’impresa complicatissima. È fondamentale che il nostro settore sia riconosciuto e come tale venga considerato e sostenuto anche dal punto di vista economico.
Cosa direbbe Tarcisio per la ripresa?
Lui ha uno spirito positivo e senza dubbio direbbe: «Adesso riprendiamo, minchia. Che ridere!».
Vicky Iannacone: Solamente aiutando il prossimo conoscerai la vera felicità»
La cantautrice Vicky Iannacone è impegnata nel sociale ed è testimonial
della Onlus “Bon’t worry” che lotta contro la violenza di genere
«Solamente aiutando il prossimo
conoscerai la vera felicità»
Vicky Iannacone, originaria di Torella del Sannio (Campobasso), è una cantautrice che si sta facendo strada, grazie alla voce che lascia il segno e ai testi diretti. Ha un ottimo rapporto con un artista sensibile come Paolo Vallesi e vanta collaborazioni, tra gli altri, con Toto Cutugno e Gatto Panceri. “Fuori dagli skemi” del 2019 ha avuto più di trentamila visualizzazioni su Youtube. Ha scritto il brano “Cosa non ti torna (fai la differenza)”, per contribuire a sostenere la sua regione, il Molise, in questo momento molto particolare. Con i colleghi Antonella Biondo, Vanessa Grey, Alfio Consoli, Angela Tesone, Irene gentile, Alessio White Bear, Roby Cantafio, Isabella Biffi, e il kazako Nurusultan Abdrakhimov, i musicisti: Antonio Allegro (chitarre), Paolo Grillo (basso e batteria) i bambini Paolo e Sofia. Il videoclip è stato realizzato a Diamante, in provincia di Cosenza, da Katia Grosso, fotografa e videomaker ed è stato messo su YouTube, inserendo il codice Iban dell’Ordine dei medici del Molise per acquistare il materiale necessario per l’emergenza Covid-19.
Ci spieghi come è nata l’idea?
L’idea è nata durante i giorni di quarantena, ma non l'avevo pianificata. Ho scritto questo brano per lanciare un messaggio cercando la positività in un momento molto particolare che si stava attraversando, da qui poi ho pensato in che modo potessi essere utile per aiutare in un momento così importante di emergenza, e ho deciso che con questo brano, in collaborazione con alcuni miei colleghi, si poteva contribuire al sostegno dei medici in prima linea della regione Molise. Allora abbiamo attivato una raccolta fondi che in qualche misura potesse sostenere il loro prezioso lavoro.
Con un video, con una canzone, si può fare molto, soprattutto a favore di chi è impegnato a difesa della salute di tutti.
Beh, immagino di sì. Le canzoni come i video sono mezzi di comunicazione molto importanti, perché in relazione al messaggio lanciato possono essere di grande aiuto. Si tratta comunque di condivisione, di offrire una parte di sé a quanti possano o vogliano attingerne.
Sei un’artista che, partita dagli studi della musica classica, ha fatto tanta gavetta, ottenendo riconoscimenti lusinghieri.
Il tuo primo singolo del 2014 “È colpa tua”, poi titoli come “Ansia” e “Al centro”. Un percorso che continua con grande impegno.
Certamente la formazione classica è lo zoccolo duro di tutto il mio percorso. Senza questo punto di partenza non avrei forse mai avuto quella certa consapevolezza necessaria per riconoscermi e seguire fino in fondo le mie inclinazioni. Infatti in generale la formazione è un passaggio che consiglio a chiunque voglia intraprendere qual si voglia carriera artistica, ché solo attraverso la disciplina e i buoni maestri si può individuare il vero sé e perseguirlo,
Con “Come fosse il primo giorno” affronti il tema della violenza sulle donne e sei diventata socia onoraria e testimonial con Francesco Coco della Onlus “Bon’t worry”per lottare insieme contro la violenza di genere.
Sono orgogliosa di questi riconoscimenti perché sottolineano la sensibilità e l'attenzione dimostrata nei confronti del mio impegno contro questa piaga. Siamo dentro una realtà divisa tra il matriarcato e il maschilismo, e dunque inevitabilmente il limite mentale estremo di chi considera la donna un oggetto o essere inferiore, in contrasto con delle tradizioni familiari così forti, non può portare in modo spontaneo ad un riequilibrio dei ruoli e ad un rispetto della libertà di genere, ma è piuttosto necessario che le intelligenze di tutti si applichino per capire un concetto determinante quanto basilare e forse banale: nessuno appartiene a nessuno e, presa coscienza di questo, ognuno deve poter vivere libero e nel rispetto di tutti.
Cosa significa per te solidarietà?
Amarsi e amare. La vita non avrebbe senso se non ci fosse l'amore. Ma amare non è semplicemente un sentimento nutrito verso qualcuno o verso qualcosa, la differenza la fa il modo. Non basta amare, bisogna saper amare. E la solidarietà è una grande prova di amore.
C’è stato un momento della tua vita che ha significato una svolta?
Ce ne sono stati diversi, ma sicuramente diventare socia onoraria per la Bon’t worry contro la violenza di genere, è stata una cosa che mi ha dato tanto in termini di ritorno etico e morale. Una svolta interiore sicuramente, ma è da dentro che si innescano in grandi cambiamenti; è da dentro che si percepisce la vera libertà, soprattutto quella intellettuale.
Questa energia che ti torna indietro la ritroviamo anche nelle tue canzoni?
Sì, diciamo che nelle mie canzoni troviamo molte cose che riguardano l’energia che nel tempo e con l’esperienza ho acquisito. Un'energia sempre al servizio della musica e del bene comune.
C’è una canzone, in particolare, che rappresenta tutto questo?
Direi di sì: "Come fosse il primo giorno" e "Cosa non ti torna (fai la differenza)", proprio per il senso civico e sociale che nel mio piccolo ho tentato di trasmettere.
C’è stata un’esperienza che ti ha colpito di più?
Ogni esperienza è stata bella e a suo modo interessante e diversa, per cui ho sempre vissuto tutto con molto entusiasmo, ogni volta. Perché in ogni esperienza, finora, c'è sempre stato un riscontro umano importante, forse anche nel male (che non sempre viene per nuocere); e non c’è niente di più bello di sapere che in qualche modo, ogni volta, da qualche parte, sono entrata nella testa di qualcuno lasciandogli una suggestione su cui riflettere.
Come reagisce il suo pubblico davanti a questo suo impegno?
Il mio pubblico spero sia felice e che, quando ho un buon messaggio da trasmettere, si faccia, come dire, "condizionare" da quanto, umilmente ma in modo molto determinato, decido di offrire. Io, del resto, è dal mio pubblico, e dalla sua passione, per me che prendo esempio.
«Ho sogni duri come le rocce perché la vita non li possa distruggere» è una delle frasi che ti rappresentano?
Sì molto; è una frase che mi rispecchia perché io sono una persona, come dicevo, molto determinata. Molte volte, o forse sempre, nella vita si devono fare delle scelte, e inseguire un sogno non è sempre facile, allora bisogna essere forti, coraggiosi e determinati, solo così si potrà - scusa se mi autocito - "fare la differenza".
L’impegno di Ferdinando Morabito, tesoriere dell’AIDA onlus «Donare è il più bel modo di ricevere»
L’impegno di Ferdinando Morabito, tesoriere dell’AIDA onlus
«Donare è il più bel modo di ricevere»
Ferdinando Morabito, meglio conosciuto come “Nandino”, è una di quelle persone alla quali ci si rivolge quando ci si imbatte nella giungla fiscale, che muta periodicamente, e nella quale solo persone competenti come lui riescono a districarsi. Grazie alla sua competenza “Nandino” segue e tiene in ordine i conti della AIDA onlus, della quale è il tesoriere. Dal 2009, infatti, lui è uno della grande famiglia dell’Aida: «Tutto è iniziato – ricorda- dopo aver ascoltato quanto mi raccontava l’amico fraterno Reno Insardà, presidente dell’AIDA. Seguendo le attività svolte da lui e dagli altri ragazzi, l’impegno il sacrificio profuso nell’organizzare e gestire le varia iniziative, gli spostamenti in giro per l’Italia è stato per me naturale abbracciare il progetto. È stato Proprio Reno a volermi all’interno dell’AIDA, credendo fortemente in me e dandomi piena fiducia. Ho ricoperto il ruolo di vice presidente che ho lasciato con piacere a Enza Petrilli lo scorso anno. Ad oggi ho un ruolo importante all’interno della Onlus sono tesoriere e curo anche i rapporti con gli Enti».
Per lui la solidarietà ha una ricetta molto chiara: «Impegno etico-sociale a favore di altri, un grande valore sociale che consente a tutti noi di sentirci bene nell’animo solo per aver regalato un sorriso oppure una semplice gioia».
Questi dieci anni di partecipazione alle attività dell’AIDA Ferdinando Morabito li porta tutti nel suo cuore: «Non c’è un episodio in particolare, potrei citarne qualcuno giusto per rendere l’idea. Il primo evento a cui ho preso parte e stato nel 2010 a Reggio Calabria, poi Palermo, Rimini, Roma e poi di seguito ci sono tante esperienze e tante persone che ho conosciuto e che mi hanno dato tanto sia sotto il profilo personale che umano. Come ho detto prima nell’Aida onlus mi occupo più della parte amministrativa, rispetto ad altri colleghi a causa del lavoro non ho la possibilità di prendere sempre parte direttamente agli eventi. Anche se mi occupo dell’organizzazione degli stessi li seguo a distanza e naturalmente quando ho la possibilità mi aggrego volentieri».
Esperienze che arricchiscono le persone come conferma “Nandino”: «Impari sempre cose nuove vedi delle situazioni che sembrano paradossali, ma la tenacia dei ragazzi diversamente abili ti danno insegnamenti importanti e la forza di impegnarti sempre di più nel campo della disabilità e solidarietà».
Un impegno che Ferdinando Morabito affronta con piacere e a chi vuole avvicinarsi al mondo della solidarietà dice: «Piu che un consiglio preferisco fare un invito all’opportunità di mettersi in gioco con le proprie competenze, le proprie energie e la propria personalità. Donare è il più bel modo di ricevere».
Ivano Bonetti, campione sempre in campo per dare una mano a chi ha bisogno «Ho un’attitudine naturale per la solidarietà»
Ivano Bonetti, campione sempre in campo per dare una mano a chi ha bisogno
«Ho un’attitudine naturale per la solidarietà»
Ivano Bonetti è uno di quei calciatori che rimangono nel cuore dei tifosi. Nel suo caso di quelli bianconeri e blucerchiati su tutti, senza dimenticare la sua Brescia, il Genoa, il Bologna, l’Atalanta per poi finire la sua carriera da giocatore a Dundee, dove ha anche allenato per due anni. Con la Juventus di Platini, Scirea, Cabrini e Tacconi, allenata da Giovanni Trapattoni vinse lo scudetto e la Coppa Intercontinentale. Nel 1991 a Genova prese parte alla conquista dello storico scudetto della Sampdoria di Mancini e Vialli, con alla guida Vujadin Boskov. Ivano faceva parte di quella squadra ed era apprezzato oltre che per il suo impegno in campo, anche per la sua disponibilità e il suo carattere guascone. Quella Sampdoria sfiorò l’impresa anche in Coppa dei Campioni nel ’92, perdendo la finale contro il Barcellona.
Ivano, da quando hai finito di giocare non ti sei mai tirato indietro per stare vicino a chi è impegnato per aiutare gli altri: che cosa significa per te la solidarietà?
La solidarietà è rispettare la vita in generale. Facciamo tutti parte di questo mondo e riuscire a fare qualcosa per gli altri rende felice se stessi. Il minimo che si può fare è aiutare gli altri ogni volta che ne abbiamo la possibilità. Per me, quindi, è naturale riuscire a regalare un sorriso, un momento di felicità. Ci sono mille modi per fare della solidarietà: per me è un’attitudine naturale.
C’è stato un episodio particolare della tua vita che ha fatto nascere questa voglia di impegnarsi per gli altri?
Quando ci si avvicina a persone che hanno bisogno poi si fa fatica a distaccarsene come se niente fosse. La vita ti porta ad avere contatti con alcuni, con i quali poi è semplice rimanere in contatto. Abbiamo fatto delle manifestazioni con le “bambine dagli occhi belli” e abbiamo trascorso del tempo con loro e ne è nato un rapporto che continua anche grazie ai social.
Con la Nazionale Vip Sport siete spesso in giro per delle manifestazioni.
Quando il presidente ci chiama per partecipare a delle manifestazioni si fa di tutto per essere presenti e lo facciamo con entusiasmo e impegno. Ci auguriamo sempre che ci sia un seguito importante per riuscire a ottenere un buon risultato grazie alla nostra partecipazione. Il punto è riuscire a far sospendere il tran tran quotidiano alle persone e coinvolgerle in queste manifestazioni.
Gli italiani e la solidarietà: un binomio che, secondo la tua esperienza, funziona?
Siamo un popolo generoso e lo dimostriamo in ogni occasione. Quando c’è bisogno non ci tiriamo mai indietro. Anche la mia esperienza di calciatore mi ha insegnato che si migliora quando le cose non vanno al meglio. Lo abbiamo visto anche in questa emergenza del coronavirus: tante donazioni a tutti i livelli per dare una mano a chi è in difficoltà e a chi era impegnato in prima linea. Speriamo che finita questa emergenza l’atteggiamento non cambi. Purtroppo è il sistema della globalizzazione che porta le persone a distrarsi, a dare valore a cose, spesso inutili, e a sottovalutare quelle importanti nei rapporti interpersonali, come la solidarietà. Bisognerebbe intervenire “a gamba tesa” su chi ci governa per obbligarli ad andare nella direzione giusta.
Utilizzi anche per la vita quotidiana espressioni come “a gamba tesa” che rimandano al calcio. Ai tuoi successi con la Sampdoria insieme a Gianluca Vialli che ha attraverso un momento difficile: ne vogliamo parlare?
Luca è un carissimo amico che ha lottato e continua a farlo. È uno sportivo, una persona perbene, un ragazzo molto sensibile, disponibile a dare una mano a chi è in difficoltà e insieme a Massimo Mauro si è sempre impegnato nel sociale. Diventa difficile, quindi, non voler bene a una persona così. Un bene che va al di là di essere stati compagni di squadra e aver condiviso tanti successi insieme. Anche se non ci sentiamo spesso, siamo mentalmente molto vicini. Quando una persona sta male, le reazioni degli amici sono diverse. C’è chi soffre troppo a vederla in difficoltà e chi capisce, ed è questa secondo me la reazione giusta: il calore umano va manifestato e la vicinanza aiuta chi sta male. È difficile ma andrebbe fatto sempre perché sono convinto che l’energia produce altra energia positiva.
La solidarietà attecchisce molto tra gli sportivi e gli ex sportivi: come te lo spieghi?
Sicuramente la vita che uno ha trascorso sempre in gruppo, con la consapevolezza che solo facendo squadra si ottengono buoni risultati sviluppa una certa sensibilità. Penso, però, che nel cuore di tutti ci sia spazio per la solidarietà: è la vita che si conduce a sviluppare o meno l’interesse per gli altri.
La Nazionale Vip Sport ha in programma delle iniziative?
Purtroppo ancora non è possibile organizzare manifestazioni e siamo in attesa che la situazione migliori al più presto.
Il footgolf invece?
È un altro sport e i tornei continuano. Sta prendendo piede e mi fa piacere. La maggior parte sono ex calciatori, quasi tutti dilettanti. Fino all’anno scorso Di Canio era abbastanza presente. Sui campi ho incontrato spesso Diego Fuser, Dino Baggio, Luigi Gualco. Evaristo Beccalossi, Marco Gori, Massimo Bonini, Riccardo Ferri, Alessandro Bianchi, Massimo Agostini qualche volta vengono, ma solo per delle manifestazioni di beneficenza. Anche il footgolf è un’occasione per stare insieme e, quando è possibile, per dare una mano a chi è in difficoltà. Io ci sono sempre.
La vita di Astutillo Malgioglio: dalla serie A al campionato più importante della sua vita
La vita di Astutillo Malgioglio: dalla serie A al campionato più importante della sua vita
«L’amore che ricevo dai disabili è più potente di un calcio di rigore»
«Carmen, Alberto, Ester, Rosy, Massimo, Gabriele, Gianni e tanti altri ancora. Sono i miei ragazzi, quelli che mi hanno dato tanto rispetto a quel poco che ho potuto fare e faccio per loro. Purtroppo alcuni non ci sono più. Ricevo talmente tanto e penso anche di non essere meritevole. Non posso essere neanche orgoglioso e pieno di me stesso, chiedo sempre a Dio di essere l’ultimo e di lottare per rimanere sempre ultimo». A parlare così è Astutillo Malgioglio, un passato da calciatore, ma una vita impegnata (43 anni) a dare una mano a chi ha bisogno, soprattutto ai disabili. Lui, con quel nome particolare, negli anni 80 era molto popolare tra i tifosi e i ragazzini che collezionavano le figurine Panini. Un nome che non si dimentica, così come la sua faccia sorridente, accompagnata da due baffoni e un fisico statuario. Cresciuto nelle giovanili della Cremonese, passò al Bologna e si affermò nel Brescia dove fu promosso in serie A con la stessa squadra lombarda nel 1980. Nella sfortunata stagione successiva, il Brescia retrocesse. Tra il 1979 e il 1980 è stato convocato da Azeglio Vicini nella Nazionale di calcio dell’Italia Under-21 e ha partecipato al Campionato europeo di calcio Under-21 del 1980. Nell’82 a Pistoia e nell’estate ’83 a Roma. Nella formazione di Eriksson, Malgioglio trovò poco spazio, ma persino peggio gli andò con la Lazio, l’anno dopo. Aveva deciso di ritirarsi, ma Trapattoni lo richiamò all’Inter nel 1986. Cinque anni magnifici, uno scudetto e una coppa Uefa, da secondo a Walter Zenga, nell’Inter dei record con Matthäus, Beppe Bergomi, Aldo Serena, Andreas Brehme e Riccardo Ferri. Ma anche quella di Alberto Rivolta, lo sfortunato calciatore affetto da ependimoma midollare, un tumore rarissimo del sistema nervoso centrale che lo ha portato alla morte il 3 novembre del 2019. Quel giorno a salutarlo c’erano moltissimi suoi ex compagni, tra tutti Astutillo Malgioglio che gli è stato vicino fino alla fine, come aveva ricordato lo stesso Rivolta in un’intervista a Fanpage.it un mese prima di morire: “Pensi, qualche giorno fa è venuto Baresi. Malgioglio passa tutte le settimane. E poi Riccardo Ferri, Ciocci, insomma gli amici non mi hanno dimenticato. Poi è venuto anche Patrizio Sala, non me lo sarei mai aspettato”. Sì, lui ci andava ogni settimana, Alberto era uno dei suoi ragazzi, faceva parte della sua famiglia, quella nata nel 1977, quando decise si fondare l’associazione “Era 77”.
Che cosa è stata “Era77” e come è nata?
Si chiama così perché sono le iniziali dei nomi di mia figlia (Elena), mia moglie (Raffaella) e mio (Astutillo) ed è successo tutto nel 1977: mi sono sposato, è nata mia figlia così come l’associazione. Penso che ci sia una predisposizione a che certe cose accadano, che scocchi la scintilla. Ho incontrato la persona giusta, mia moglie, ma quando ci siamo conosciuti non pensavamo di far qualcosa per i disabili. Avevamo dentro di noi una spinta a voler aiutare gli altri. Questo sì.
Un’idea che è diventata realtà.
Abbiamo incontrato il mondo della disabilità e da lì è partito tutto. Io allora giocavo a Brescia e mia moglie studiava all’Isef. Abbiamo conosciuto una persona che le ha offerto l’opportunità di insegnare in una classe di oltre 30 disabili. E poi abbiamo cominciato a lavorare e a impegnarci per aiutare questi ragazzi. Abbiamo preso un nostro locale a Piacenza con una palestra ed è partita l’associazione “Era77” con una palestra che ha funzionato fino al 1995. La nostra idea era quella di mettere a disposizione dei ragazzi strutture e assistenza gratuitamente. Da subito abbiamo pensato di non fare semplicemente volontariato, ma iniziare un percorso nostro, utilizzando metodologie scientifiche sulla cura dei bambini con lesioni celebrali.
E tua figlia vi ha seguito in questa vostra attività?
Sin da piccola era in palestra, ha sempre avuto una ottima predisposizione verso i nostri ragazzi. Ora si è sposata, ma se qualcuno ha bisogno non si tira indietro e continua a darsi da fare per aiutare gli altri.
In quegli anni tu però eri in giro per l’Italia a giocare a calcio.
Sì, ma in ogni città dove ho giocato (Brescia, Pistoia Roma) abbiamo sempre continuato a fare assistenza. Ci conoscevano e con il passaparola i ragazzi chiedevano di essere assistiti. Quando sono andato a giocare all’Inter ci siamo concentrati sul nostro centro di Piacenza.
E dopo il 1995 che cosa è successo?
Io avevo smesso di giocare e abbiamo deciso di continuare assistenza ai ragazzi disabili a domicilio. Mia moglie Raffaella dopo il diploma Isef si è specializzata in psicomotricità con i bambini disabili e io sono diventato assistente all’infanzia da zero a tre anni. Una attività che continuiamo ancora a fare. Certo quando si fa assistenza domiciliare non si possono avere troppe persone da seguire, perché è complicato. Fino a poco tempo fa seguivamo sei persone, purtroppo due sono morte l’anno scorso, e ora sono quattro. Essendo malati gravi, lungo il cammino qualcuno ci lascia.
C’è una persona o un episodio che ti porti nel cuore?
Ho avuto talmente tanto dagli altri che mi sento appagato. Mi considero una persona fortunata, una tra le più fortunata al mondo. Tutti i ragazzi mi hanno colpito e mi sono rimasti dentro. Se proprio devo indicarne uno mi fa piacere ricordare Massimo che purtroppo non c’è più. Quando è morto aveva 14 anni era malato di distrofia muscolare grave. La cosa che mi colpiva di lui è che tutti i giorni dava forza alle persone che gli stavano vicino, a partire dai suoi genitori. Era incredibile. Sapeva che a qualcuno piaceva il ciclismo, per esempio, e lui si studiava tutto sull’argomento per poi parlarne e coinvolgere la persona. E così per le cose che potessero interessare i suoi amici. Faceva tutto per gli altri. Si donava completamente.
L’essere cattolico ha giocato un ruolo in questo tuo percorso?
La fede in Dio è stata determinate. Penso che quando sei strumento di Dio ti muovi in un certo modo nella tua vita e se non hai amore per gli altri, così come loro te ne danno non ti senti libero e realizzato. Io mi sento proprio appagato, libero e a disposizione degli altri.
Che cosa è stato invece il calcio per te
Quando ero ragazzo, essendo nato in un quartiere popolare, era tutto: divertimento, aggregazione, amicizia. Non avevamo nulla e per noi era fondamentale. Poi ho iniziato a giocare nei settori giovanili, mi divertivo tanto. Diventato professionista le cose si sono complicate, cominciavo a sentirmi limitato. Non vedevo più lo sport come divertimento, ma in quell’ambiente i valori erano diversi: la notorietà, i soldi e il lusso. Tutte cose che nulla hanno a che fare con il gioco e il divertimento.
Quando giocavi eri considerato una persona particolare, oggi una persona speciale. Tu come ti sentivi allora e come ti senti oggi?
Quando ero nel mondo del calcio specialmente per i dirigenti e per alcuni allenatori ero un problema da gestire e sopportare. Mi sono sempre impegnato, mi allenavo seriamente, non ho mai saltato un allenamento. In quel mondo le persone sono poco considerate, si punta tutto sull’aspetto tecnico e dei risultati. Quando tutto va bene sei considerato e anche osannato, poi nei periodi di flessione vengono fuori i problemi.
Hai avuto tanti allenatori, chi ha capito l’uomo Astutillo Malgioglio?
Uno solo: Giovanni Trapattoni. Non c’era bisogno di parlarsi, bastava uno sguardo. Io per lui ero indispensabile in quell’Inter che, sotto la sua guida, vinse lo scudetto nel 1989 e la Coppa Uefa nel 1991. Qualcuno può pensare che Trapattoni fosse impazzito, ma era proprio così. Mi stimava come portiere, altrimenti non sarei potuto stare in quella squadra di campioni, ma ero determinante sia all’interno dello spogliatoio sia per lui. Penso che quello che mi ha dato Trapattoni in quei cinque anni sia stato davvero tanto. Se sono riuscito a sopravvivere ancora nel mondo del calcio è stato proprio grazie a lui. Dopo l’episodio della Lazio volevo mollare tutto.
Ecco, parliamo di quella domenica 9 marzo 1986 allo stadio Olimpico. Vieni contestato dai tifosi della Lazio che ti ritengono colpevole della sconfitta e insultano te, la tua famiglia e il tuo impegno per i disabili. Ti togli la maglia, ci sputi sopra, la getti a terra e la calpesti. Un gesto che nessuno si aspettava da un uomo buono e mite come te.
Una bruttissima giornata per me. Ho sbagliato, ho fatto un gravissimo errore, ne risponderò a Dio. Purtroppo è successo. Non ce la facevo più, avevo addosso una pressione incredibile. Volevo mollare tutto. Per fortuna è arrivato Trapattoni…
Quando eri all’Inter tra i tuoi compagni c’era Jürgen Klinsmann che un giorno, dopo l’allenamento, è voluto venire con te a Piacenza a conoscere i ragazzi di “Era77”.
Klinsmann è stato fortunato a incontrare i miei ragazzi. Sono contento per lui. La cosa importante, come ho cercato di spiegare più volte, non è stata la donazione di 70 milioni che ha fatto all’Associazione, ma quello che ha ricevuto lui. Un’esperienza che lo ha cambiato soprattutto come uomo. All’epoca io giocavo, quei soldi non mi cambiavano la vita. Mi fa piacere per lui che si sia saputo della sua generosità, così la gente lo ha apprezzato anche fuori dal campo.
Sei rimasto in contatto con lui?
Da quando ho smesso, nel 1993, l’ho sentito tre volte. L’ultima volta che è venuto in Italia mi ha chiamato. Ma ripeto, sono contento per il suo cambiamento come uomo e mi fa piacere che in questa “conversione” io abbia giocato un piccolo ruolo.
E con gli altri tuoi compagni di squadra?
Quando c’era a Piacenza il centro “Era77”, alcuni sono venuti a visitarlo. Nei miei cinque anni all’Inter saranno venuti due o tre volte. Il povero Enrico Cucchi (morto nel 1996 per un melanoma) era una persona straordinaria, molto ben disposta moralmente. Purtroppo è mancato troppo giovane. Ultimamente mi chiama Riccardo Ferri. Non parliamo di calcio, ma di altre cose. Evidentemente ne sente il bisogno e trova in me la persona giusta con cui parlare e la cosa mi fa piacere.
Il calcio lo segui ancora?
Guardo le partite in tv, perché è uno sport che mi piace tantissimo. Tempo fa ero stato contattato per conoscere la mia opinione sulla vicenda del taglio degli stipendi dei calciatori in questo periodo. Per me non sono giudicabili, anche perché se il problema viene fuori in un momento di emergenza come questo, significa che c’era qualcosa che non funzionava già da prima. Se i calciatori sono arrivati a guadagnare certe cifre vuol dire che si è sbagliato prima. Se Messi o Ronaldo hanno ingaggi milionari la colpa non è loro, ma di tutto il sistema calcio che al di là del loro talento calcistico ha costruito un business moralmente discutibile.
La pandemia di Covid 19 ha cambiato la vita di miliardi di persone, impaurite e in alcuni casi terrorizzate dal virus. Sei ottimista per il futuro?
Una delle cose che mi ha colpito guardando le statistiche delle vittime è che non si parla mai di disabili. Dopo tutti questi anni di lavoro con queste persone mi sono reso conto che spesso i disabili sono percepiti come un peso e ora ancora di più il valore della loro vita è poco considerato, quando si pensa a loro la morte è già scontata. Al di là dell’aspetto sanitario, con questa emergenza la situazione delle persone che hanno bisogno è peggiorata ancora di più. Posso immaginare come stanno vivendo queste persone, ma viverla sulla propria pelle è tutta un’altra storia. A questi si aggiungono quelli che non sono mai stati in difficoltà. Anche per loro, quindi, è diventato fondamentale sopravvivere. In questi casi purtroppo, come ha avvertito anche il Papa, c’è il timore e il rischio che possa subentrare l’egoismo. Spero che le cose possano cambiare, di persone buone ce ne sono tante e la salvezza del mondo e dell’umanità si basa su quelli che danno anche la loro vita per gli altri.
L’attore Massimiliano Buzzanca ci racconta la sua idea di solidarietà
L’attore Massimiliano Buzzanca ci racconta la sua idea di solidarietà
«La minoranza solidale è più forte della maggioranza egoista e chiassosa»
“Buzzanca, basta la parola”, parafrasando una pubblicità del vecchio Carosello. E sì con Massimiliano Buzzanca si è immersi direttamente nel mondo dello spettacolo. E lui è una persona che non si tira mai indietro, nel suo sangue scorre l’arte di famiglia e la generosità del Sud.
Massimiliano Buzzanca e la solidarietà: quale scintilla è scattata?
Nessuna scintilla, credo che sia umano contribuire a dare una mano a chi sta peggio di noi, soprattutto se si fa un mestiere che amplifica ogni tuo piccolo gesto verso il mondo. Il nostro è un mestiere capace di smuovere le masse e anche di indirizzare le coscienze, quindi penso che sia anche nostra responsabilità dare segnali positivi di solidarietà e coscienza sociale e questo è qualcosa che mi è stato insegnato dai miei genitori.
C’è stato un episodio particolare della tua vita che ha fatto nascere questa voglia di impegnarsi per gli altri?
Avevo non più di otto anni, tornavo a casa con mio padre e mia madre e dentro il nostro portone, anzi proprio nel nostro sottoscala, abbiamo visto un uomo che dormiva accucciato sulle scale. All’inizio mi sono spaventato, mia madre voleva addirittura chiamare qualcuno per farlo mandare via, papà, invece, memore di quando nei primi anni a Roma soffriva la fame e faceva la stessa cosa, gli ha chiesto chi fosse, gli ha detto che per quella notte poteva continuare a dormire lì dentro al caldo e poi, se non ricordo male, gli ha dato dei soldi e siamo andati a casa. Il giorno dopo non c’era più.
Quando hai iniziato a interessarsi di chi ha bisogno?
Più o meno da sempre, te l’ho detto prima, ho avuto una famiglia che mi ha insegnato certi valori sociali, ad essere presente per gli altri e soprattutto a non essere egoista.
Sei sempre disponibile a partecipare a manifestazioni e spettacoli di beneficenza: è più un ricevere o più un dare?
Devo essere sincero, non è solamente per una questione di beneficienza, spesso mi diverto anche a partecipare a certe manifestazioni, soprattutto quando ci sono le partite di beneficienza di calcio. Sono un attore, se mi chiedi di esibirmi, mi rendi l’uomo più felice del mondo. Se poi lo faccio per una buona causa; c’è ancora un altro aspetto: il sorriso delle persone per cui ti esibisci o partecipi alle manifestazioni, è talmente avvolgente che è più un ricevere che un dare.
La pandemia di Covid 19 ha cambiato la vita di miliardi di persone, impaurite e in alcuni casi terrorizzate dal virus. Come l’hai vissuto e lo stai vivendo?
Come tanti, senza eccessive ansie e cercando di fare il mio per evitare che il contagio possa propagarsi. Poi ho cercato di non far pesare troppo né a Raffaella, né ai suoi ragazzi l’isolamento inventandomi ogni giorno qualcosa di nuovo da fare, anche se dopo un po’ le idee cominciavano a mancare.
Ci spieghi come è nata l’idea de "L'Estate di San Lorenzo"?
Non è un’idea mia, ma del regista Enrico Maria Falconi che ha scritto anche il testo. Durante il lockdown ha chiamato me e altri attori (Ester Botta, Stefano Scaramuzzino, Martina Valentini Marinaz, Claudio Scaramuzzino e Ramona Gargano) e ci ha chiesto la disponibilità per fare una serie di letture del testo, rigorosamente tramite una piattaforma tipo Skype. Abbiamo accettato e da lì è iniziata quest’avventura.
Una iniziativa nuova nel mondo dello spettacolo che sta avendo successo: come lo spieghi?
Con il desiderio di non fermarsi e di continuare a lavorare nonostante tutto. Inoltre c’è voglia di fare arte e soprattutto di vedere cose nuove.
Il mondo dello spettacolo è uno dei settori che ha maggiormente subito il lockdown: questa vostra idea trasforma tutti in protagonisti e il crowfunding li rende partecipi in prima persona.
In effetti è così, alla fine delle prove si ha anche il riscontro e il confronto diretto del pubblico e devo dire che sono anche dei critici competenti e utili per migliorare le nostre prestazioni e le interpretazioni.
Massimiliano Buzzanca è attore, regista e anche scrittore: che cosa rappresenta per te “Che cinema la vita”.
Un modo molto utile di esorcizzare alcune esperienze fatte nella mia vita, oltre che un goffo tentativo di raccontare la nascita di una storia d’amore. Ti confido un segreto, il primo capitolo l’ho scritto poche settimane dopo essermi messo insieme a Raffaella e sulla spinta emotiva dell’amore che stava nascendo per lei. Poi se leggi il libro il personaggio di “Ella” è presente e costante per tutta la storia, in pratica “Che Cinema è la Vita” è dedicato al mio amore per Raffaella.
E il domani di Massimiliano Buzzanca: sei ottimista sul dopo Covid?
Dal punto di vista lavorativo sono scettico, ci vorrà molto tempo prima che il nostro settore torni alla normalità, abbiamo accusato un duro colpo e quei pochi fortunati che già lavoravano tanto, continueranno a farlo e non avranno subito granché. Il problema grave è per quei tantissimi che già lavoravano poco prima, che rischiano di essere messi al tappeto.
Pensi che le persone dopo questa emergenza abbiano capito che essere meno egoisti può servire?
Vorrei essere ottimista, ma da quello che leggo nei social, purtroppo, la vedo male. L’essere umano è una razzaccia e, come ha scritto qualcuno molto più saggio di me, “la storia non ci insegna nulla”, continuiamo a fare sempre gli stessi errori, vale per le guerre e varrà anche per il post pandemia. Probabilmente ci saranno tante persone che saranno molto più sensibili e meno egoiste, ma solo perché era nella loro indole già prima del 4 marzo. È anche vero che la minoranza silenziosa, spesso e volentieri, può essere più rumorosa della maggioranza chiassosa, soprattutto se l’intenzione è quella di migliorare la razza umana.
Maurizio Scalvini: La solidarietà della Nazionale VipSport in campo da dodici anni»
Parla Maurizio Scalvini, presidente e animatore
di tante iniziative benefiche
«La solidarietà della Nazionale VipSport
in campo da dodici anni»
“Aiutare chi ha bisogno non è mai un impegno banale. Nemmeno dal punto di vista organizzativo. Per riuscirci al meglio sono necessari le stesse competenze e lo stesso impegno che ognuno di noi mette ogni giorno nel proprio lavoro. Aiutare chi ha bisogno è una cosa seria. La Nazionale VipSport è nata per questo”. Si conclude così il manifesto della Nazionale VipSport, firmato dal suo presidente Maurizio Scalvini. «Per raccontare come è nata la Nazionale VipSport - racconta Scalvini – potrei citare la famosa canzone “Eravamo quattro amici al bar…”. Noi, Franco Oppini, Stefano Tacconi e il sottoscritto, invece eravamo in un ristorante ed era il 28 maggio di dodici anni fa. Per una serie di motivi eravamo usciti da un’altra associazione e ci siamo ritrovati a ragionare sul nostro impegno per chi ha bisogno. E così abbiamo deciso di partire con la Nazionale VipSport e ci tengo a precisare che Vip non significa soltanto “very important person”, ma, e soprattutto, un “vero importante progetto”».
Lanciata l’idea e costituita l’associazione Maurizio Scalvini ha raccolto le adesioni, oltre che di Franco Oppini e Stefano Tacconi anche di «alcuni dei concorrenti del Grande Fratello (Rosario Rannisi, Tullio Tommasino) e poi Francesco Oppini, Max Pisu, Patrizio Oliva, Daniel Ducruet e siamo partiti. In questi anni in tantissimi hanno partecipato ai nostri eventi, anche perché l’età avanza e bisogna trovare giovani leve (sorride ndr). Comunque parliamo di una cinquantina di personaggi che si alternano nelle nostre iniziative».
In dodici anni la Nazionale VipSport si è ritagliata un ruolo importante nel mondo della solidarietà e il presidente Scalvini con orgoglio ricorda: «Abbiamo organizzato una ottantina di iniziative tra partite di calcio, quelle di footgolf, cene di beneficienza e altre manifestazioni». I personaggi del team non si sono mai tirati indietro e hanno voluto dare il loro contributo al successo delle manifestazioni. «Tra le iniziative più riuscite ricordo con piacere quella di Sciacca, Rocca Franca e Bari, dove allo stadio San Nicola abbiamo registrato la presenza di venticinquemila persone». Anno dopo anno la squadra del presidente Scalvini si è rinforzata e oggi può contare su un gruppo di tutto rilievo: «Con noi ci sono i fratelli Bonetti (Dario e Ivano), Luciano De Paola, Claudio Chiappucci, la famiglia Ducruet, Francesco Rizzuto di Zelig e tanti altri tra ex calciatori e personaggi dello spettacolo».
Per Maurizio Scalvini, quindi, parlare di solidarietà e «talmente facile, ma allo stesso tempo talmente difficile da interpretare. Le tante famiglie che abbiamo incontrato ci hanno insegnato tanto: vivere la vita dedicandosi ai loro figli, ma anche agli altri bambini e dando un senso di speranza a tutti gli altri. Solidarietà rimanda a qualcosa di solido, oggi mi rendo conto che c’è tanta voglia di aiutare gli altri, accompagnata purtroppo da un pizzico di diffidenza. Qualcuno che fa il furbo in giro c’è, però è sufficiente informarsi sulle associazioni. Mi fa molto arrabbiare chi, alla vigilia di un vento, dice non compro prima il biglietto perché se poi piove… Ma che discorso è? I soldi del biglietto vanno comunque in solidarietà, certo che a noi fa molto piacere avere una bella cornice di pubblico che contribuisce alla riuscita delle nostre manifestazioni. L’obiettivo principale resta la raccolta di fondi, anche perché nessuno della Nazionale VipSport percepisce compensi, solo dei rimborsi spese».
Il Covid, ovviamente, ha fatto saltare anche le iniziative previste per quest’anno. «Stiamo cercando di organizzare – racconta il presidente Scalvini – qualche evento di footgolf, dove c’è la possibilità di mantenere le distanze. Non sarà semplice perché sono partiti i campionati e rischiamo di non aver abbastanza giocatori disponibili per poter organizzare un evento che permetta di raccogliere dei fondi». Maurizio Scalvini ha vissuto nella sua Brescia il difficilissimo periodo del Covid e sulla scorta di quella drammatica esperienza dice: «Sono un ottimista, ma avendo visto quello che succede attorno prevedo che alla ripresa autunnale le cose rischiano di non andare per il verso giusto. C’è un’incertezza totale che ricade, inevitabilmente, sul mondo della solidarietà. Prima anche noi della Nazionale VipSport riuscivamo a trovare delle aziende che ci davano una mano, ora è tutto fermo. La nostra attività principale si svolge soprattutto in primavera-estate e spero che per allora qualcosa sia cambiato. Incrociamo le dita».
Sarah Maestri, un’attrice di successo, al fianco di chi ha bisogno e con la sua vita, raccontata in “La bambina dei fiori di carta”
Sarah Maestri, un’attrice di successo, al fianco di chi ha bisogno e con la sua vita, raccontata in “La bambina dei fiori di carta”
«Solidarietà è vivere in unità, nessuno di noi è un'isola»
Ogni anno il suo volto semplice e tranquillo è una sorta di viatico per migliaia di maturandi. Sarah Maestri, infatti, presta il volto ad Alice Corradi in “Notte prima degli esami” e li accompagna nelle ultime ventiquattro ore di ansia e di tensione che li separano dagli esami di maturità. L’attrice, nata a Luino, è diventata popolare oltre che con il film di Fausto Brizzi e il suo sequel, anche per alcuni ruoli in soap di successo (“Vivere” e “CentoVetrine”, con il quale ha vinto nel 2003 la Telegrolla d’oro quale migliore attrice di soap opera) e nel cinema (“I cavalieri che fecero l’impresa” e “Il cuore altrove” di Pupi Avati e poi “Dietro il buio” di Giorgio Pressburger, “Il pretore” con la regia di Giulio Base, fino ai recenti “Come saltano i pesci” di Alessandro Valori, “Frontaliers disaster” di Alberto Meroni e “Succede” di Francesca Mazzoleni). Nel 2009 ha pubblicato il romanzo autobiografico “La bambina dei fiori di carta”, diventato anche uno spettacolo teatrale. Oltre a fiction, teatro, cinema e radio, è anche opinionista in trasmissioni calcistiche, tifosa del Milan e madrina del Varese.
Sarah Maestri è “La bambina dei fiori di carta”. A tre anni le diagnosticarono una grave patologia emolitica, con sospetta diagnosi di leucemia. Cosa significa crescere in un reparto di oncoematologia?
Come narrato nel mio romanzo, per assurdo, ho ricordi solo felici di quei momenti. Certo la biopsia ossea, le trasfusioni, le punture lombari, sternali, non erano piacevoli, come del resto quel sapore di morte che mi soffiava attorno, ma avevo la mamma con me. I suoi occhi pieni d'amore tutti per me, 24 ore su 24 hanno reso quei momenti comunque speciali. Veniamo al mondo per amare ed essere amati, ed io in quel momento ero davvero tanto amata.
E infatti ce l’ha fatta: è arrivato il successo e tante soddisfazioni professionali. Un bel risultato.
Ho realizzato entrambi i miei sogni di bambina, quello di vivere e quello di recitare… Sì, un bel risultato!
La malattia però continua ad accompagnarla: come la sta affrontando ora?
Con la consapevolezza di una persona adulta. Ho finalmente una diagnosi, una terapia e questo mi fa vivere serena. La fede mi ha insegnato a vivere il presente e, l’importanza delle cose, mi godo il momento certa che c'è qualcuno che mi ama al punto di dare la vita per me.
Cimentarsi con questo tipo di difficoltà significa anche credere in qualcosa?
Non penso siano le difficoltà della vita a regalarti la fede, io ad esempio ho avuto il dono della conversione nel momento del successo dopo il film “Notte prima degli esami”.
Perché la fede per lei è importante?
È faro di luce nell'oscurità del mondo, è conforto, guida sicura, ma soprattutto amore…, quando prego chiedo al Signore di donarmi ogni giorno la fede, spero di non perderla mai. La fede ti aiuta a vedere le cose sotto un punto di vista differente, se non avessi fede la vita sarebbe insopportabile.
E la solidarietà che cosa significa?
Gesù ci ha donato un comandamento: amatevi gli uni con gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per gli amici. Solidarietà è vivere in unità, nessuno di noi è un'isola, lo diceva anche Hemingway. Inoltre l'essere solidale è un dovere sancito anche nell'art. 2 della nostra Costituzione.
Cosa spinge secondo lei le persone ad aiutare chi ha bisogno?
Dare è l'unico modo per raggiungere la persuasione, tutto dare senza nulla avere scriveva Carlo Michelstaedter, ed io la penso così. Poter dare significa ricevere il centuplo, anche la parola di Dio è chiara in tal senso: "Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.
Lei è molto impegnata nel sociale, sia con l’associazionismo cattolico che con l’Avis, ma anche per i diritti dei bambini orfani nei paesi dell’Est, battendosi in prima linea a favore delle adozioni.
Mettere il proprio talento al servizio degli altri è il mio motto, ho ricevuto tanto ed è giusto e doveroso impegnarsi in favore degli altri. Inoltre nel dare ricevo il centuplo in gioia quindi assicuro che ne vale la pena.
Lei è anche membro sia del Comitato Strategico del Fondo a contrasto della povertà educativa minorile in rappresentanza del Miur che della Commissione di beneficenza della Fondazione Cariplo: un impegno a 360 gradi.
Si è un vero onore per me. Dopo l'adozione di mia figlia e gli anni trascorsi in Bielorussia ho scoperto che oltre 1 milione e 300 mila bambini in Italia vivono in povertà assoluta. Un grido che non poteva restare inascoltato, il Fondo a contrasto della povertà educativa e fondazione Cariplo sono entrambe impegnate in prima linea per estirpare questa piaga sociale che ora, a causa del Covid purtroppo è dilagata ancora di più.
La pandemia di Covid 19 ha cambiato la vita di miliardi di persone, pensa che ne usciremo migliorati? La solidarietà post Covid avrà un’evoluzione?
Gli italiani sono da sempre un popolo solidale, sono certa che anche in questa situazione sapranno dare il meglio di sé.
E per la sua professione ci saranno dei cambiamenti?
Sicuramente il mondo dello spettacolo a causa del Covid è in forte crisi, i teatri chiusi e i set bloccati non ci permetteranno di lavorare ancora per un bel po', speriamo questa situazione possa risolversi il prima possibile.