Annalisa Insardà, presidente dell’ASD AIDA è anche l’autrice dell’inno dell’organizzazione interpretata da Vicky Iannacone
Franco Insardà intervista Annalisa Insardà. Ebbene è successo e sarà sicuramente un successo. Nella mia ultratrentennale carriera di interviste ne ho realizzate tantissime, ma non mi era mai capitato di intervistare uno o una Insardà. Addirittura la Insardà… Questa intervista chiude il ciclo che, partito durante il lockdown di primavera, abbiamo organizzato con l’AIDA. Un bellissimo viaggio nel mondo del volontariato, durante il quale ho avuto modo di conoscere campioni dello sport, cantanti, attori, ma anche tantissimi volontari che da anni sono impegnati a dare un contributo a chi ha bisogno. Il comune denominatore che unisce tutti è: faccio qualcosa per gli altri, ma ricevo molto di più.
La Onlus fondata da Nazareno Insardà da quest’anno è diventata AIDA OdV. Per qualcuno potrebbe sembrare un affare di famiglia, ma non è così. AIDA è una realtà solida con tante persone che si impegnano e con tante altre associazioni che collaborano condividendo la stessa idea:
“Diversamente abili non vuol dire rinunciare alla vita”. Come testimonia il calendario 2021 dell’AIDA, quest’anno alle varie “terapie” che i ragazzi diversamente abili, ma anche le persone normodotate, possono praticare per mantenersi in forma sia a livello fisico che intellettivo: musica, arte, terapia del sorriso, giardinaggio, il gioco, l’ippica, il make-up, la danza e il movimento, l’uso terapeutico degli animali da compagnia, il teatro, la “mototerapia” e ovviamente lo sport. E Annalisa Insardà è proprio la presidente della ASD AIDA.
Qualcuno potrebbe pensare che sia una cosa in famiglia, viste le restrizioni per il Covid, ma la solidarietà è nel Dna degli Insardà. È così “Insardevole” cugina?
Conosco tanti Insardà , molti dei quali estremamente generosi, altri, invece, non pervenuti. Quindi credo che la solidarietà non sia da collegare al cognome, ma al modo in cui gli Insardà si sono distribuiti nel mondo e hanno accolto le esperienze contaminandosi di bello e di buono. Ma anche di male subito dal quale sono riusciti ad affrancarsi.
Uno di questi è il presidente dell’AIDA…
A parte l’affetto tra me e l’insardevole fratello, credo che lui mi stimi tanto sia come attrice e sia come donna, con la responsabilità etica e sociale che è proprio del mio lavoro. L’attore è lo specchio della società, di ciò che è stata e di quello che potrebbe essere.
“Noi riaccendiamo le stelle”, è uno dei passaggi più significativi dell’Inno dell’AIDA, scritto da te e cantato da Vicky Iannacone. Quante stelle hai incontrato in tutti questi anni?
Grazie a mio fratello tante stelle. Ho capito che la frase “campioni sul campo e nella vita” non è un luogo comune, proprio conoscendo molti personaggi. Grazie alle testimonianze dei tanti sportivi conosciuti in questi dieci anni di AIDA mi sono resa conto che abbiamo riacceso le stelle, dando speranza, andando a trovare a casa e spronando le persone a impegnarsi. La vicepresidente dell’AIDA, Enza Petrilli, è una campionessa di tiro con l’arco, ma non si tira mai indietro quando c’è da far capire ai ragazzi che si possono praticare molti sport, come tennis tavolo, l’atletica, il calcio balilla, motociclismo. L’AIDA, cioè, promuove a tutti i livelli il riscatto sociale attraverso lo sport. Prima della pandemia siamo andati nelle scuole, grazie a un bando della Vodafone e fondazione con il sud, proprio per far conoscere e illustrare le nostre attività e far comprendere il nostro messaggio. A chiunque può succedere di diventare disabile, poi arriva AIDA con le sue stelle, come Matteo Cavagnini, Enza Petrilli, Francesco Comandé, Peppe Luciano, Giovanni Aranciofebo e tanti altri, riaccende la speranza.
Diversità non è dire “no alla vita” è la caratteristica dell’AIDA che tu sottolinei nel testo della canzone.
Ci tenevo a evidenziarlo nella canzone perché non solo è lo slogan dell’AIDA, riguarda non solo le persone con disabilità, ma tutti noi. Chiunque sia diverso in ogni ambito sociale che non è conforme ai canoni della “normalità” non deve dire no alla vita, ma deve accettarsi e promuovere se stesso e la diversità che ha. Viva la diversità!
Con Vichy Iannacone avete scritto anche “La regina nuda”, arrivata al 14esimo posto al contest "Musica contro le mafie". Una bella soddisfazione per una bellissima canzone, dal messaggio chiarissimo già nel titolo.
Proprio così: tutti vedono, ma nessuno parla. Arrivare quattordicesimi su 700 non è male. Peccato: i primi dieci sono passati alla fase finale. Ma il valore della canzone c’è tutto. La musica come tutte le altre cose, tranne la scienza e la matematica in particolare, dipende dal gusto. Vichy ed io con questa canzone abbiamo incontrato il favore di tanti. Sono molto contenta di questa “Regina nuda” perché Vichy Iannacone ha sposato musicalmente quello che io avevo scritto. Con lei c’è ormai una sintonia: a volte lei mi manda la musica e io scrivo il testo oppure succede il contrario. Con “Regina nuda” si sono incontrati, combaciando perfettamente, due pezzi di un unico puzzle. “Mi combattete commemorando i grandi eroi, ma il problema è che ormai io sono dentro voi. Mi tengono in vita le vostre lacune”, questa frase avrei dovuto toglierla per questioni compositive, ma è l’essenza della canzone e quindi ci abbiamo lavorato per rimodularla. E sono molto contenta di questo.
Hai raccontato la mafia, la violenza sulle donne, denunci la condizione della tua Calabria: insomma non le mandi a dire…
No, le porto in prima persona con grande forza, a volte grande foga e grande determinazione.
Ricevi testimonianze di stima e di apprezzamento?
Moltissime. A parte quelle delle persone alla fine dei miei spettacoli che conservo gelosamente nel mio cuore, mi emozionano tantissimo le testimonianze scritte. Al solo pensiero che una persona possa dire “ora mi fermo un attimo e scrivo a questa ragazza che non conosco” mi emoziono. Tempo fa, dopo un mio spettacolo in Sicilia, mi scrisse una ragazza lombarda sedicenne per ringraziarmi del fatto che, dopo avermi visto, aveva cambiato radicalmente il suo modo di vivere. Prima affrontava in modo superficiale la vita, mentre io l’avevo messo nella condizione di pensare. Con una testimonianza simile io ho vinto.
Una canzone per Peppino Impastato, un testo dedicato alla scorta: da chi hai ricevuto apprezzamenti?
La canzone dedicata a Peppino Impastato è venuta dopo un lungo studio di tutta la vicenda, ci ho lavorato tanto prima di riuscire a comporla. Ma gli apprezzamenti ricevuti mi hanno fatto capire che ne valeva davvero la pena. Il testo sulla scorta è in termini emotivi tra i più sudati dei miei figli. Professionalmente dico grazie a Dio anche se umanamente è una fatica enorme perché empatizzo e riesco a trasmettere un dolore che non dovrebbe essere mio, in quanto non familiare, ma lo sento tutto mio. Un rappresentante dell’Osservatorio per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio., che più volte mi ha invitato a recitare quel testo, mi ha detto: «L’ho sentito tante volte e non ci credo che nessuno delle persone che nomini non sia un tuo parente. Mi emoziono perché sono certo che qualcuno di loro è tuo fratello e tu non ce lo vuoi dire». Una cosa che mi emoziona tantissimo perché vuol dire che non c’è differenza tra il dolore mio e quello dei parenti delle vittime. A Marano di Napoli, invece, a una delle manifestazioni sulla violenza sulle donne, organizzate dall’Associazione “Insieme per Marianna”, a fine spettacolo è venuto da me il comandante dei Carabinieri e mi dice: «Le sono vicina». Gli ho spiegato che ero solo l’interprete di quelle storie che avevo raccontato, ma lui ha insistito: «Non si preoccupi le sono vicina» ed è andato via convinto che avessi subito violenza.
Posso immaginare quali emozioni hai provocato nei familiari degli uomini che tu citi ne “La scorta”.
Ti racconto una delle cose più faticose della mia vita. L’ho interpretata il 19 luglio 2016 a Palermo, dopo il debutto a Grosseto. Il fratello di Claudio Traina, uno degli agenti morti a via D’Amelio mi dice: «Mia madre (morta due anni fa ndr.) non può venire a Palermo né a via D’Amelio né alla caserma Ungaro (dove partono ogni mattina le scorte ndr.) per ascoltarti recitare “La scorta”. Potresti venire a farla a casa a mia madre?». Ho detto di sì ed è stato il momento più difficile della mia carriera artistica, io ho interpretato il monologo e non ho mai faticato così tanto, neanche quando recitato al Teatro greco di Siracusa davanti a cinquemila persone. Alla fine la mamma di Claudio Traina mi ha baciata e mi ha detto: «Finalmente qualcuno dopo venticinque anni che chiama mio figlio con nome e cognome e non “la scorta”». Immagina come mi sono sentita, rendendomi conto della enorme responsabilità che ho quando porto in scena quel monologo, per il quale ho ricevuto i ringraziamenti e gli abbracci degli altri familiari delle vittime.
Otello Profazio, in una serata di qualche anno fa a Roma, ti presentò come Giorgio Gaber al femminile. Ti ci ritrovi in questa definizione?
Otello Profazio prima di quella serata venne a Reggio Calabria a vedere il mio “Reality Shock” e alla fine dello spettacolo mi disse: “Dovresti cambiare il tuo nome: da Annalisa Insardà a Carmelina Benina”. Ovviamente sono due cose che mi inorgogliscono e che lui pensa davvero di me. Lungi da me credere che sia vero, ma mi fa piacere che abbia trovato delle similitudini. Io e lui non siamo amici, ma c’è una profonda stima. Otello Profazio, a dispetto di quello che potrebbe apparire ai più, è un uomo estremamente colto e profondo che ha fatto un grande lavoro di ricerca musicale ed etnica.
Sei stata una delle protagoniste di “I Nostri figli”, film per la tv con Vanessa Incontrada e Giorgio Pasotti, trasmesso da Rai1 con grande successo, dedicato alla storia di Marianna Manduca. Una vicenda incredibile di violenza e di solidarietà che ti ha portato a conoscere e frequentare la famiglia Calì.
La famiglia Calì che ha soltanto cinque figli mi ha adottato come la figlia femmina. Quindi Carmelo Calì e Paola Giulianelli mi hanno accolto nella loro famiglia ed è nato un rapporto di profonda amicizia e quando posso vado a trovarli, ci incontriamo e collaboriamo per l’associazione “Insieme a Marianna”. Quando il 25 novembre il presidente del Consiglio Conte ha voluto mettere fine alla sofferenza della famiglia Calì, sospesa alla decisione della giustizia per farsi riconoscere il diritto al risarcimento da parte dello Stato, finalmente abbiamo tirato un sospiro di sollievo tutti insieme.
C’è un episodio che ti porti dentro o una persona speciale che hai conosciuto da quando sei scesa in campo con l’Aida?
C’è sempre qualcosa in ognuno che io guardo con ammirazione. Quando vedi nei ragazzi la totale assenza di rassegnazione rispetto a una condizione nuova, che è sicuramente drammatica nella prima fase, non si può fare a meno di ammirarli.
L’AIDA anche nel periodo del Covid non si è mai fermata.
Non siamo, ovviamente più potuti entrare nelle scuole, ma facciamo tutto il possibile per “accendere le stelle”. Nella prima fa se della pandemia l’AIDA ha promosso una raccolta fondi, alla quale hanno aderito anche altre realtà territoriali, per potenziare il reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Polistena. Personalmente ho partecipato a tantissime raccolte fondi.
Progetti?
Avrei dovuto fare una bellissima cosa a Cinisi a metà gennaio che, purtroppo, è saltata. Mi ha contattata un’Associazione di Milano, che si chiama “Davide e il drago”, per chiedermi di fare uno spettacolo online per le scuole che sto scrivendo. Conservo, forse immotivatamente, un grande ottimismo, ma l’uscita dal tunnel la vedo ancora lunga.