Franco Insardà, caporedattore del quotidiano “Il Dubbio”,

si è intervistato dopo averlo fatto per noi con 30 personaggi 

 

«Grazie all’AIDA ho fatto un bellissimo viaggio nel mondo della solidarietà»

«Sei un calabro-irpino!»

, così mi disse in redazione, una sera di molti anni fa, un bravissimo collega napoletano con il quale ho condiviso una parte del mio percorso professionale. Non era assolutamente un’offesa. Anzi. Era un complimento perché in me vedeva concentrati i pregi di queste due terre che scorrono nelle mie vene: il non arrendersi mai, l’ottimismo, il guardare avanti e, perché no, la cocciutaggine. Della Calabria porto nel cuore i colori del mare, il profumo degli agrumi, le facce scavate dal sole e dalla fatica degli anziani che mi accarezzavano da piccolo con le loro mani rugose, l’andare in campagna con mio nonno tra la maestosità degli ulivi secolari. Dell’Irpinia mi tengo stretto la disponibilità delle persone, la solidarietà, l’amicizia che, soprattutto in occasione del terremoto del 23 novembre 1980, mi hanno fatto crescere.

Il presidente dell’AIDA OdV, per pura casualità mio cugino Nazareno Insardà dal quale mi sono lasciato con piacere coinvolgere nelle iniziative dell’associazione, nel lockdown della primavera scorsa era partito con l’idea di farmi fare qualche intervista. Ho accettato, poi le interviste, con il passare dei giorni, sono diventate una decina, poi una ventina e a oggi siamo arrivati a 30. Un piacevole viaggio che ci ha accompagnato in tutti questi mesi, conclusosi con l’intervista alla presidente dell’ASD AIDA, Annalisa Insardà, alla vigilia dei XXIII campionati nazionali di paraarchery che si svolgeranno a Reggio Calabria il 6 e 7 marzo, organizzati proprio dalla AIDA. Pensavo che il lavoro si fosse concluso, fino a quando mi è arrivata la solita piacevole telefonata del presidente AIDA, Nazareno Insardà: «Ho pensato che il progetto si potrebbe concludere con una autointervista. Che ne pensi?». E così da irpino ho preso in prestito un cliché, ormai diventato famoso, del conterraneo Gigi Marzullo: «Si faccia una domanda e si dia una risposta». Sono andato oltre e mi sono detto: «Si faccia un’intervista». Ho risposto sì, ma solo perché si tratta di un’intervista per l’AIDA OdV.

In questi mesi hai intervistato attori, cantanti, sportivi, persone impegnate nel volontariato: che cosa ti hanno trasmesso?

Il filo che lega tutte queste persone è la voglia di mettersi al servizio di chi ha bisogno, senza secondi fini. Molti di loro erano quasi restii a raccontarsi e a far sapere del loro impegno per gli altri. Tempo fa per il mio giornale (Il Dubbio ndr.) ho fatto un ritratto di Gino Bartali, in occasione dei venti anni dalla sua morte. Ebbene, una delle frasi che ripeteva “Ginettaccio” era: «Il bene si fa, ma non si dice». Un concetto che ho ritrovato in alcune delle persone che ho intervistato, ma molti altri mi hanno fatto capire che, soprattutto in un’epoca social come la nostra, “metterci la faccia” vuol dire anche stimolare la generosità di tante altre persone. Loro, quindi, sono i testimonial e garantiscono che le iniziative per le quali si impegnano sono affidabili.

Chi ti ha colpito di più?

Ognuno si è concesso in modo spontaneo, senza sovrastrutture o schermi. Hanno reso pubblici i loro sentimenti, la loro voglia di mettersi a disposizione degli altri, contenti di poter fare qualcosa per aiutare chi ne ha bisogno. E tutti mi hanno ripetuto che hanno ricevuto di più di quello che hanno dato. Mi è difficile fare dei nomi, ma la storia dell’ex portiere dell’Inter Astutillo Malgioglio è davvero bellissima.

Ne vogliamo parlare?

Astutillo Malgioglio è uno dei personaggi poco inclini a pubblicizzare la sua disponibilità. Già quando giocava ai massimi livelli della serie A aveva capito che la sua vita non poteva essere legata ai soldi, alla notorietà e a tutto quello che gira intorno al mondo del calcio. Si allenava, giocava, ma appena finito scappava a Piacenza nella palestra per aiutare, insieme alla moglie, i ragazzi che avevano problemi di disabilità con la sua associazione “Era77”. Questa sua attività, durante gli anni della serie A, gli ha creato parecchi problemi, soprattutto con i tifosi della Lazio, al punto di essere sul punto di voler smettere di giocare. Grazia a Giovanni Trapattoni, che ne aveva capito la sua grande umanità e personalità, la carriera di Malgioglio non si è interrotta. Anzi ha fatto parte di quell’Inter di Trapattoni che ha vinto uno scudetto e una coppa Uefa, da secondo a Walter Zenga, nell’Inter dei record, e sono certo che la figura di Astutillo Malgioglio è stata fondamentale per tenere insieme il gruppo.

Ti ha raccontato un episodio in particolare?

Mi ha lasciato spiazzato, pur essendo lui un portiere. È abbastanza conosciuto la storia che Jürgen Klinsmann un giorno decise di voler andare con Malgioglio per conoscere i ragazzi della sua palestra e che alla fine gli staccò un assegno di 70 milioni per sostenere l’iniziativa. Ebbene Malgioglio mi ha detto con un tono serafico: «Quel gesto ha fatto bene a lui. Lo ha cambiato come uomo. È stato fortunato a incontrare i miei ragazzi».

Prima di conoscere l’AIDA che rapporto avevi con il mondo del Terzo settore?

Tieni presente che da ragazzo e durante l’università sono stato uno scout attivo, oggi lo sono rimasto nelle azioni. Tra l’altro in questo viaggio ho incontrato un altro scout: Gigi Miseferi, con il quale ho trovato subito una grande sintonia. Al di là di questo professionalmente mi sono spesso interessato di argomenti e iniziative del Terzo settore. Poi nel 2004 sono stato il direttore di “Quotidiano sociale”, l’unico quotidiano del Terzo settore che sia mai stato realizzato in Italia. Una bellissima esperienza, durata oltre un anno e mezzo, che mi ha fatto conoscere a fondo questo mondo e delle persone stupende. Da direttore ho voluto in redazione alcuni colleghi diversamente abili, proprio perché grazie alle loro esperienze quotidiane avrebbero trasmesso nel giornale la realtà E così è stato. Purtroppo quell’esperienza è finita, perché l’editoria da decenni vive tra mille difficoltà.

E poi?

L’interesse a occuparmi di chi è in difficoltà non è diminuito. Dal 2014, prima al Garantista e ancora oggi al Dubbio, curo la pagina “Lettere dal carcere”, raccontando storie e denunciando tutte le inefficienze del nostro sistema carcerario.

E il rapporto con l’AIDA?

Con una battuta potrei dire che è quasi un affare di famiglia. Il mio cognome potrebbe far pensare a questo, ma non è così. Quando ho incontrato Nazareno, presidente dell’AIDA OdV, una decina di anni fa e mi ha parlato dell’associazione e non ho avuto dubbi a dare una mano. In questi anni ho potuto apprezzare le sue capacità più importanti: riuscire a coinvolgere le persone ed essere sempre disponibile con tutti. Grazie a lui ho conosciuto persone eccezionali che hanno una grande voglia di vivere.

Puoi fare qualche nome?

Penso a Enza Petrilli, campionessa di tiro con l’arco e vicepresidente dell’ASD AIDA, Francesco Comandé, atleta e giocatore di basket in carrozzina, Matteo Cavagnini, uno dei giocatori più forti di basket in carrozzina. E poi Giusy Versace, conosciuta e intervistata alla vigilia della sua vittoria a “Ballando con le stelle”, una donna eccezionale che anche nel suo impegno politico è riuscita a centrare un ottimo obiettivo: il riconoscimento delle pari opportunità agli atleti paralimpici nei gruppi sportivi militari e nei corpi civili dello Stato.

 Tutti atleti?

Non solo. Anche Carmelo Calì e Paola Giulianelli, con i quali dopo la realizzazione del film i “Nostri figli”, con Vanessa Incontrada e Giorgio Pasotti, interpretato anche da Annalisa Insardà, si è creato un rapporto speciale con tutti noi dell’AIDA. La vicenda di Marianna Manduca, cugina di Carmelo, e dei suoi figli è stata ed è seguita da molti e io l’ho raccontata e continuo a farlo sul mio giornale Il Dubbio.

 

 

 

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